Intergenerazionalità in azienda: come costruire ponti

Hai mai avuto la sensazione di parlare una lingua diversa da un collega più giovane o più anziano? Quante volte hai pensato: “ma non mi capisce o sono io che non mi so spiegare”? Questo è uno degli effetti dell’ intergenerazionalità all’interno dei contesti lavorativi.

Nei contesti organizzativi odierni troviamo la co-esistenza di ben 4 diverse generazioni, che portano all’interno del proprio contesto lavorativo la propria cultura, la propria comunicazione, il proprio stile, il proprio punto di vista, la propria idea sul lavoro.

In un contesto professionale altamente intergenerazionale, la capacità di comunicare efficacemente tra diverse generazioni è diventato un elemento cruciale, una soft skill che non può più essere sottovalutata.

Ma perché ci viene così difficile parlare con chi ha un’età – e una cultura comunicativa – diversa dalla nostra? E soprattutto: cosa ci perdiamo quando non lo facciamo?

Ma partiamo dal conoscere quali sono le generazioni ad oggi presenti nei contesti lavorativi.

Intergenerazionalità al lavoro? Quali le generazioni presenti?

Per capire meglio il fenomeno dell ‘intergenerazionalità nei contesti lavorativi, bisogna prima fare un po’ di ordine. Attualmente, nelle aziende italiane e internazionali convivono (e lavorano) almeno quattro generazioni:

  • Baby Boomers: sono i lavoratori e le lavoratrici nati/e tra il 1946 e il 1964. Sono portatori e portatrici di esperienza lavorativa e di una cultura del lavoro legata alla stabilità e al sacrificio. Per loro il “posto fisso” è una garanzia e qualcosa di cui essere profondamente grati.
  • Generazione X: sono i lavoratori e le lavoratrici nati/e tra il 1965 e il 1980. Cresciuti/e nel passaggio tra mondo analogico e mondo digitale, sono pragmatici/e, indipendenti e orientati/e al risultato. Valorizzano l’autonomia e preferiscono una comunicazione chiara, diretta e funzionale.
  • Millennials o Generazione Y: sono i lavoratori e le lavoratrici nati/e tra il 1981 e il 1996. Digitali per formazione, sono idealisti/e, orientati/e allo scopo e al benessere. Sono molto attenti all’equilibrio tra vita e lavoro e quello che chiedono ai propri superiori sono feedback, trasparenza e coinvolgimento.
  • Generazione Z: sono i lavoratori e le lavoratrici nati/e tra il 1997 e il 2012. Nativi/e digitali, sono cresciuti/e con i social, la comunicazione istantanea e l’accesso immediato all’informazione. Nelle organizzazioni ricercano l’autenticità, l’inclusione e la libertà di espressione.

Ognuna di queste generazioni ha un proprio bagaglio valoriale, formativo e culturale. E, naturalmente, uno stile comunicativo che ne riflette le caratteristiche.

intergenerazionalità, generazioni

Perché tra generazioni diverse si fa così tanta fatica a capirsi?

Potremmo definire la comunicazione come uno specchio del proprio tempo e possiamo anche affermare che ogni generazione ha sviluppato il proprio modo di relazionarsi tra i propri membri. Ma come avviene questa comunicazione tra gli/le appartenenti alla stessa generazione? Vediamolo insieme!

  • Baby Boomers: preferiscono comunicazioni dirette ma formali, strutturate e rispettose delle gerarchie. Prediligono canali scritti come email o report ben articolati, e si trovano più a loro agio in conversazioni programmate e contestualizzate (piuttosto che in scambi estemporanei o troppo informali). Il loro stile è professionale, sobrio e orientato alla chiarezza.
  • Generazione X: cercano chiarezza, sintesi ed efficienza. Apprezzano una comunicazione essenziale, senza fronzoli, che vada dritta al punto. Hanno una buona capacità di adattamento tra l’analogico e il digitale, ma per le questioni importanti preferiscono ancora il face-to-face o una telefonata, perché li considerano strumenti più autentici e affidabili. Non amano la sovrabbondanza di messaggi o le chat dispersive, piuttosto preferiscono sinteticità e chiarezza.
  • Millennials o Generazione Y: sono abituati/e a uno stile comunicativo fluido e continuo. Amano ricevere feedback costanti, comunicano spesso attraverso chat di lavoro, amano le call brevi o i “vocali”, e si sentono a loro agio in ambienti dove storytelling, trasparenza e partecipazione sono valorizzati. La comunicazione, per loro, è anche un modo per creare senso di appartenenza, inclusività e condivisione.
  • Generazione Z: nativi/e digitali per eccellenza, comunicano principalmente attraverso immagini, emoji, meme, audio e video. Sono rapidi, multitasking e iperconnessi, abituati a interazioni brevi, istantanee e principalmente visive. Adottano uno stile informale, creativo e spesso ibrido tra testo, immagini e suono. Possono percepire le comunicazioni troppo lunghe o formali come lente, rigide o poco autentiche.

Il problema nasce quando questi stili non riescono a trovare un punto di incontro. Ad esempio un Boomer potrebbe leggere la mancanza di formalità di un/a collega appartenente alla Gen Z come disinteresse o superficialità. Oppure, un Millennial potrebbe trovare un/a collega della Gen X poco collaborativo/a se non fornisce feedback continui.

Quindi, non è meramente un problema di contenuto, quanto piuttosto di “codice” comunicativo; e se non ci impegniamo a conoscere e ri-conoscere il codice delle generazioni diverse dalla nostra, allora innalzeremo sempre dei muri comunicativi che non favoriranno l’ intergenerazionalità nei contesti lavorativi.

E se non volessimo uscire dalla nostra comfort zone?

È qui che entra in gioco un concetto chiave: “la zona di comfort comunicativa”.

Ognuno di noi ha un “territorio sicuro” nel modo in cui comunica: canali, tono, ritmo, linguaggio; e lo stesso capita alle diverse generazioni. Uscire da questa zona significa esporsi, mettersi in discussione, cambiare le proprie abitudini, aprirsi agli altri. Per questo, quando incontriamo uno stile comunicativo molto diverso dal nostro, spesso preferiamo evitarlo o giudicarlo piuttosto che comprenderlo e provare a conoscerlo. Alziamo dei muri invece di creare ponti verso l’ intergenerazionalità.

In realtà, è proprio nella “zona di discomfort” che si nasconde l’opportunità di crescita, sia come individui che come parte di un team e di un’azienda.

Ma cos’è che succede quando all’interno di un’organizzazione – e ancora di più all’interno di un team – si rimane nella propria comfort zone comunicativa?

Le conseguenze di una comunicazione intergenerazionale inefficace possono essere altamente impattanti all’interno dei contesti lavorativi e portare a inefficienze e conflitti. Vediamone alcune insieme:

  • Mancanza di collaborazione: quando all’interno di un team intergenerazionale manca il dialogo, le persone tendono a parlare e confrontarsi solo con chi appartiene alla stessa generazione e, pertanto, ne comprende la mentalità e lo stile comunicativo. Questo però limita il confronto, la contaminazione di idee, la crescita e l’efficacia del team.
  • Perdita del know-how: quando i lavoratori senior non trasmettono la loro esperienza ai colleghi più giovani — o, viceversa, quando le nuove generazioni non riescono a portare innovazione in un contesto più maturo — si crea una frattura nel sapere aziendale. Le competenze non si tramandano, le idee innovative non trovano spazio, e l’organizzazione perde in continuità, evoluzione e capacità di adattamento.
  • Conflitti latenti: le differenze nei codici comunicativi possono facilmente sfociare in fraintendimenti e incomprensioni. Ciò che per una generazione è trasparenza, per un’altra può sembrare arroganza. Ciò che è efficienza per alcuni, può sembrare superficialità per altri. Se non affrontate, queste incomprensioni generano tensioni relazionali e micro-conflitti che possono, nel tempo, diventare difficili da risolvere.
  • Calo dell’engagement: tendenzialmente, quando una persona sente che il proprio modo di comunicare non è compreso o valorizzato all’interno della propria organizzazione, tende a chiudersi e a impegnarsi sempre meno nel proprio lavoro. Il rischio più grande è che: da un lato i talenti — soprattutto i più giovani — si distaccano emotivamente dall’azienda, dall’altro i collaboratori più senior si sentono messi da parte e non valorizzati per la loro esperienza. Il risultato? Una cultura aziendale frammentata e poco inclusiva.
  • Inefficienza nei processi: quando la comunicazione all’interno di un’organizzazione o di un team non funziona, questo comporta una perdita di tempo operativo prezioso, il rischio di moltiplicare le attività e che si generino errori evitabili. In assenza di un linguaggio condiviso tra generazioni, i flussi si spezzano, i messaggi si distorcono e il lavoro di squadra si complica, diventa più lento, meno fluido e più stressante per tutti.

intergenerazionalità, comunicazione

Ma allora, cosa possono fare le organizzazioni per gestire la comunicazione intergenerazionale?

Quando le aziende riescono a gestire l’ intergenerazionalità, favorendo un dialogo tra generazioni differenti, i risultati si vedono subito. Tra questi risultati ci sono:

  • Team più innovativi: i team composti da persone con esperienze ed età diverse generano idee più creative, diversificate, che portano a processi più efficaci. La diversità generazionale è una leva molto potente per i team, perché aiuta a uscire dagli schemi e trovare nuove strade.
  • Migliore engagement e motivazione: quando le persone appartenenti alle diverse generazioni sentono che il proprio contributo è ascoltato, riconosciuto e valorizzato, cresce in loro il senso di appartenenza all’organizzazione. Le persone in questo modo si sentono parte attiva del processo, coinvolte nelle decisioni e motivate a dare il meglio nelle proprie attività lavorative.
  • Crescita reciproca e apprendimento continuo: in un dialogo intergenerazionale sano, i più giovani imparano dai senior competenze, visione strategica, gestione delle complessità, e, i più senior apprendono dai giovani nuove tecnologie, linguaggi emergenti, agilità nel cambiamento. Questo scambio continuo crea una cultura dell’apprendimento trasversale e altamente generativa.
  • Cultura aziendale più inclusiva e dinamica: un’organizzazione che facilita la comunicazione tra generazioni costruisce una cultura più inclusiva e capace di adattarsi ai cambiamenti. Le barriere cadono, i pregiudizi si riducono, e l’ambiente di lavoro diventa più aperto alla diversità e al confronto.

Ma cosa possono fare di concreto le aziende per favorire la comunicazione intergenerazionale al loro interno? Vi proponiamo 5 strategie:

  1. Formazione mirata sulla comunicazione generazionale: un percorso formativo sulla comunicazione intergenerazionale può aiutare i propri collaboratori a riconoscere i differenti stili comunicativi, comprendere da dove nascono e sviluppare la flessibilità necessaria per dialogare oltre le differenze.
  2. Mentoring e reverse mentoring: Far sì che collaboratori junior e senior si affianchino per uno scambio paritario di competenze e visioni è uno strumento potentissimo. Il mentoring tradizionale valorizza l’esperienza, mentre il reverse mentoring permette alle nuove generazioni di portare competenze digitali, visioni fresche e nuove sensibilità. Il concetto di fondo è che tutti possono imparare da tutti.
  3. Creare spazi di confronto intergenerazionali: per ottenere il massimo dall’ intergenerazionalità le aziende devono creare le situazioni adatte, in cui persone di età diverse possano conoscersi, confrontarsi, costruire fiducia e lavorare bene insieme. Alcuni esempi sono: le riunioni miste, i gruppi di lavoro intergenerazionali, le task force trasversali; che rappresentano tutte opportunità per stimolare nuove connessioni e abbattere i muri intergenerazionali.
  4. Utilizzare linguaggi e canali inclusivi: ogni generazione ha i propri strumenti con cui si trova maggiormente a proprio agio, e imporne uno solo in azienda rischia di far sentire qualcuno escluso, con effetti a cascata sul clima e l’efficienza organizzativa. L’ideale è mixare strumenti digitali e tradizionali, scritti e visivi, asincroni e sincroni, per permettere a ciascuno di esprimersi nel proprio stile e sentirsi a proprio agio.
  5. Leadership consapevole e inclusiva: i leader hanno un ruolo chiave in tutto questo, anzitutto devono essere i primi a uscire dalla propria zona di comfort comunicativa per dare il buon esempio a tutti. Questo significa ascoltare attivamente, adattare il proprio stile comunicativo ai diversi interlocutori, creare ambienti psicologicamente sicuri e modellare comportamenti che favoriscano il dialogo tra generazioni. Una leadership consapevole non teme la differenza: la accoglie, la valorizza e la trasforma in forza collettiva.

 

Per concludere, potremmo dire che la comunicazione intergenerazionale non è solo una competenza da sviluppare, ma è una vera e propria leva strategica. Le aziende che sapranno svilupparla costruiranno team più forti, resilienti e creativi. Perché la diversità generazionale, se accolta e valorizzata, è una vera forza propulsiva.

“Comunicare con chi è diverso da noi è scomodo. Ma è proprio lì che inizia il cambiamento.”

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