Per anni in Italia si è parlato di come incentivare lo smart working, finché non è arrivato il Covid-19 e da un momento all’altro ha reso tutto questo reale, anche se con non poche difficoltà.
Ma il grande problema al maggiore utilizzo dello smart working è che non siamo pronti per fare questo salto. Non siamo pronti come individui, dato che per lo più le persone stanno cercando di recuperare i confini tra vita privata e lavoro, e non lo siamo nemmeno come aziende.
Il che è un vero peccato perché se da una parte questo strumento potrebbe aiutarci a liberarci più tempo ed essere meno di corsa, dall’altra rischia – quando utilizzato in maniera scorretta – di avere l’effetto opposto.
Del che cosa possono fare i lavoratori a questo proposito è stato già detto largamente, ma noi vogliamo concentrarci sui veri protagonisti di questa possibile rivoluzione: le aziende.
Sono loro, infatti, che come vedremo devono mettere in campo le azioni più potenti a supporto di uno smart working utile e intelligente.
Vediamo 4 di queste azioni:
1. Conoscere e comprendere lo smart working
La prima cosa che le aziende devono fare è comprendere che cosa sia lo smart working . O meglio: cosa non è, lo smart working.
Infatti smartworking non è semplicemente “lavorare da casa con il pc”, ma qualcosa di più articolato. L’azienda deve prima di tutto sposare una filosofia manageriale che punta a restituire alle persone flessibilità e autonoma nella gestione lavorativa.
Questo non è un cambiamento da poco, ma comporta un lavoro importante sul concetto di responsabilità nel raggiungimento dei risultati, sulla valorizzazione dei talenti, nonché sulla costruzione di un nuovo e più profondo rapporto di fiducia reciproco tra organizzazione e collaboratori.
Nel concreto, le aziende devono iniziare a pensare un po’ meno all’impiego basato sulle ore lavorate e un po’ più al raggiungimento degli obiettivi; un po’ meno al controllo diretto da parte del manager e un po’ più a un contesto di autonomia del collaboratore; un po’ meno alle comunicazioni dal vivo e un po‘ più a quelle a distanza. Uno sforzo insomma prima di tutto culturale e valoriale che può richiedere tempo per essere portato a termine.
2. Erogare formazione specifica per lo smart working
Proprio in virtù di quanto appena detto, si intuisce come non sia sufficiente semplicemente “permettere ai collaboratori di lavorare da casa”, ma sia importante predisporre un percorso formativo del personale rispetto al nuovo regime lavorativo. Non solo fornire competenze sull’utilizzo ottimale del tempo di lavoro e della strumentazione da casa, ma anche migliorarne alcune soft skills chiave.
A distanza, infatti, cambia la modalità di esercitare la leadership, cambiano alcune regole della comunicazione e quindi della manutenzione delle relazioni, cambia lo svolgimento di alcuni lavori. Su questi argomenti servono delle formazioni specifiche, come anche occorre lavorare sulla capacità di organizzazione, l’auto-disciplina, le abilità di comunicazione, la fiducia (come guadagnarla e concederla) e la capacità di acquisire e integrare nella quotidianità nuove abitudini.
3. Smart working e work-life balance
Un altro aspetto che le aziende che operano in regime di smart working non dovrebbero perdere di vista riguarda il work-life balance dei lavoratori.
Finché si frequenta un luogo fisico, infatti, è più semplice mettere un limite al lavoro nel momento in cui si esce dall’azienda. In regime di smart working, questa linea di demarcazione tra spazio lavorativo e personale viene meno, con il rischio che – come emerso anche dai dati di ricerca – il lavoro si protragga oltre misura, andando a minare una work-life balance sostenibile.
Se ad un primo sguardo questo ampliamento del numero di ore lavorative sembrerebbe giovare alla produttività e quindi all’organizzazione, in realtà è un elemento sfavorevole tanto per il lavoratore quanto per l’azienda. Rischia infatti di aprire le porte allo stress lavoro-correlato, con ricadute negative sul benessere, sulla performance e sulla motivazione del personale.
4. Fornire supporto sociale e psicologico
Ultimo spunto, l’azienda dovrebbe fornire allo smart worker anche un adeguato supporto sociale. Infatti il lavoro da casa riduce fortemente i rapporti interpersonali diretti, che rappresentano un elemento vitale fondamentale per l’individuo. Questo apre la strada a diversi rischi, che vanno dalla perdita del senso di gruppo, alla percezione di solitudine, estraniamento, addirittura abbandono.
Ecco perché l’azienda dovrebbe prevedere incontri online che sostengano le relazioni e la coesione del gruppo di lavoro, l’attivazione di canali virtuali (social network interni, community virtuali), così come, quando possibile, incontri fisici volti a favorire la socializzazione.
Infine, in una situazione come quella dello smart working, l’azienda dovrebbe istituire (nel caso ne sia priva) e poi comunicare efficacemente la disponibilità di servizi di supporto psicologico a cui i lavoratori possono rivolgersi in caso di difficoltà connesse alla situazione attuale (e dei molti adattamenti che questa comporta) o, più in generale, a fronte di momenti faticosi della vita.